Tutti i segreti di 'Segreto': Ardelio Loppi racconta il suo Howard Carter

La Rotta.it incontra lo scrittore Ardelio Loppi nell'intimità della sua casa di Vasanello

“Segreto”, l’ultimo libro di Ardelio Loppi, ci porta tra le dune dorate della valle dei Re a scoprire il bluff portato avanti dall’archeologo inglese Howard Carter sulla scoperta più famosa del ‘900: quella della tomba di Tutankhamon.
Loppi: “Carter fu straordinario e meno male che la scoprì. E’ stata la fortuna dell’umanità che lui abbia scoperto quella tomba”.
LaRotta.it ha incontrato nella sua abitazione, in una piacevole domenica mattina, l’autore del testo, che ci ha sorpreso con il racconto sulla nascita di “Segreto” e non solo…

Qual è stata l’idea iniziale che ha portato alla nascita di “Segreto”?
Molto inconsueta, devo dire. Ti dirò una cosa che, per certi versi, è una vera chicca: ho iniziato scrivendo la sceneggiatura. Molti anni fa delle persone che lavorano nel cinema e hanno collaborato con Salvatores e Tornatore mi chiesero, sulla scia del grande clamore mediatico e di pubblico che ebbe l’uscita del film “La mummia”, di scrivere, visto che conoscevo l’argomento, qualcosa sull’Egitto. Sulla base del film avevano in mente qualcosa di più spettacolare ma, quando iniziai a lavorare, non feci esattamente quello che si aspettavano. Ho preso la palla al balzo e ho scritto la sceneggiatura direttamente senza soggetto. Ed è proprio mentre lavoravo a questa bellissima storia, quella classica della scoperta della tomba e affascinante con la storia d’amore fra Carter e Lady Evelyn che, al termine, ho cominciato ad avere dei dubbi; soprattutto riguardo al telegramma, una vera e propria confessione enfatizzata oltre modo da parte di Howard Carter.

Ho notato in “Segreto” alcuni elementi che suggerivano la stesura di un soggetto: i flashback, le dettagliate descrizioni di ambienti e paesaggi, le espressioni ed i movimenti dei personaggi, i cambiamenti dei movimenti e delle espressioni stesse. Se questo progetto andasse in porto e ne venisse fuori una serie tv o un film, ti farebbe piacere?
Si certo, perché questo testo, per certi versi, si presta ad un discorso cinematografico. Anche se, personalmente, ritengo che sarebbe ancora più adatto “Il pozzo delle anime”: una storia incredibile di quattro tombaroli caduti sopra ad una scoperta impossibile, un romanzo fantarcheologico. Anche perché è assolutamente inedito e una storia importante, secondo me.

Preferiresti una produzione italiana o americana?
Se mi fosse assicurato di poter avere voce in capitolo su tutta la faccenda, italiana.
 
Nell’introduzione dici che “Segreto” può considerarsi un thriller, per due motivi: uno lo lasciamo scoprire ai lettori, mentre l’altro è la vera chicca del libro: la scoperta della tomba di Tutankhamon avvenuta nel 1919 e non, come universalmente accreditato, nel 1922. Sei arrivato a questa conclusione dopo aver studiato, per quasi 20 anni, documenti e letteratura sull’argomento. Potresti dirci quali sono e se ci sono alcuni che ti hanno colpito più di altri?
 
Più che altro la letteratura, ai documenti non ho accesso. A memoria, però, non ricordo tutti i titoli perché è una grande bibliografia. Mi è stato molto di aiuto il libro dello stesso Carter “La scoperta della tomba di Tutankhamon”; poi giornali, un’infinità di libri, Hoving e tanti altri. Tuttavia, io sono anche uno storico farnesiano, conosco molto di più quello che ha a che fare con la storia del primo ‘400 e gli inizi del XVI secolo. Diciamo che la storia dell’Egitto la conosco bene, ma negli ultimi due o tre anni mi sono focalizzato di più su altro e quindi non ricordo tutta la bibliografia di “Segreto”.

Tuttavia, sei convinto di non essere l’unico ad aver capito questa omissione di Carter, sia fra i moderni archeologi, che fra i suoi contemporanei. Personalmente vorrei concentrarmi proprio su questi ultimi: considerando che, come ci dici nell’introduzione, Carter non era ben visto dai suoi colleghi, perché secondo te non l’hanno mai smentito?
 
Ma assolutamente, lo hanno capito tutti. Solo che si è creata complicità fra tutti gli egittologi attuali, che lo ammirano profondamente perché oggi si sa che lui quella tomba la cercava con tutte le sue forze. All’epoca, invece, non più di tanto, anzi: se avessero potuto lo avrebbero messo sul rogo, soprattutto dopo la scoperta. Tuttavia non hanno potuto sbugiardarlo ed è stata una decisione politica, presa a tavolino sostanzialmente dall’Inghilterra. Il motivo è semplice: l’Egitto stava attraversando un momento estremamente difficile con il protettorato inglese ed i primi movimenti d’indipendenza, che soffiavano sul fuoco del malcontento della masse. Era stato sufficiente che uscisse sul Morning Post la fake new di questi aerei atterrati sulla valle dei Re e poi ripartiti con il tesoro di Tutankhamon per creare sul serio una mezza rivolta; anche se era impossibile che due aerei potessero atterrare nella valle. Pensate cosa sarebbe successo se fosse uscito fuori che Carter era entrato tre anni prima in perfetta solitudine! Adesso sappiamo che non si è preso sostanzialmente nulla, solo all’incirca quei sedici oggetti che poi il Metropolitan ha restituito. E basta. Avrebbe potuto prendersi tutto, perché nel 1919 c’erano gli scorpioni nella valle dei Re e non i turisti, per non dar fastidio ai quali dice di trasferirsi da quello scavo ad un altro; figuriamoci se, proprio lui, gli faceva questa cortesia!

Anche la storiella che nessuno lo abbia voluto sostituire quando, dopo la morte di Carnarvon, venne cacciato dalla valle dei Re, e quindi sono stati costretti a richiamarlo, non regge. Ed ecco che si va in fondo alla postfazione e le cose non stanno esattamente così. Carter li ha ricattati: non pensava mai che sarebbe stato fatto fuori. Nelle memorie di Keedick, l’impresario che organizzò la tournée di Carter negli Stati Uniti, c’è scritto chiaramente che, quando capì che in realtà nessuno aveva intenzione di richiamarlo, l’archeologo si precipitò nell’ufficio di questo mai identificato funzionario dell’ambasciata britannica e litigarono ferocemente, finché lui, dando un pugno sulla scrivania, disse: “Io a questo punto tiro fuori tutti i papiri e vediamo come va a finire”. Dopo questa sfuriata di Carter le cose si sistemarono e lui tornò alla tomba. Ricordiamo che quello era il periodo della Dichiarazione Balfour; quindi, se le cose stanno così come specifico in postfazione, questi papiri minavano veramente la concezione del sionismo e tutto quello che ha a che fare con il diritto storico di Israele di stare in Palestina. In quel momento, sarebbe stato un disastro.

Credete sia verosimile che in una scoperta così straordinaria l’archeologo venga cacciato, la Sovrintendenza delle Antichità Egizie offre il posto vacante pagando più di 20.000 dollari dell’epoca e nessuno accetti? E’ assurdo! Semplicemente, c’è stato un vertice e si è deciso che se fosse uscito fuori sarebbe stato un problema. Anche per le autorità egiziane: ci sarebbe stata una rivolta di popolo, anche perché all’epoca tutti erano convinti che quello che era stato trovato fosse la metà di quello che c’era, che Carter si fosse rubato dei reperti nella tomba e che anche il casino trovato nell’anticamera fosse opera sua; ed ecco perché morì in solitudine.
Invece no, non è così. Carter in questo fu straordinario e meno male che la scoprì. E’ stata la fortuna dell’umanità che lui abbia scoperto quella tomba. L’avesse fatto Theodore Davis, che aveva la licenza di scavo prima di Carnarvon, nel giro di una settimana l’avrebbe svuotata! Carter è lo spartiacque tra i “tombaroli” e quindi la vecchia metodologia di recupero dei reperti e il restauro. Comincia lui, con la paraffina liquida; se i tesori di Tutankhamon, oggi, sono così ben conservati è merito suo. Da quel momento in poi, comincia l’archeologia vera. Da parte di chi non era laureato ed era diventato archeologo sul campo; era un acquerellista, ha lavorato con Petrie, con Naville e quindi, poi, è diventato il migliore in assoluto, perché gli altri, avevano tutti la puzza sotto al naso.

Quindi, in base a quanto dici, tu stimi Carter…
Assolutamente sì. E’ una delle personalità che merita più stima nella storia dell’archeologia, ma non solo secondo me. Proprio perché, anche se i contemporanei erano convinti che s’era fregato un sacco di roba, col senno di poi, sappiamo, che non si era portato via praticamente nulla. Ha dimostrato veramente un amore per l’archeologia, per la storia, per il pensiero, per la cultura, per il tramandare, senza pensare a sé, mai. L’avesse fatto, si sarebbe preso qualcosa di importante e non quattro cose che non gli hanno cambiato la vita. Per cui, ha fatto qualcosa di straordinario. Per quanto riguarda il bluffare sulla data della scoperta, ha fatto qualcosa che chiunque avrebbe fatto: erano sedici anni che lavorava in Egitto, gli ultimi cinque nella valle dei Re, senza tirare fuori niente di particolare. E poi, c’è questo articolo 9 della concessione agli scavi che ti induce a fare l’illecito. Perché è chiaro: io sto qui da sedici anni in Egitto, scavo, tiro fuori un sacco di soldi senza che me ne venga niente in tasca, perché non trovo sostanzialmente niente di importante; tu mi dici che se la tomba è vergine ti tieni tutto e che se invece è saccheggiata in tempi antichi facciamo metà per uno. Mi sembra chiaro che, in tempi dove era impossibile stabilire cosa fosse successo- perché non c’erano dal punto di vista tecnologico i mezzi- io mi comporti di conseguenza. Se la Sovrintendenza fosse stata lì e l’avessero scoperta insieme sarebbe stato diverso, ma Carter scavava da solo; anzi, lo prendevano in giro, perché erano convinti che la valle dei Re fosse ormai esaurita. Altrimenti, non avrebbero mai concesso la licenza agli scavi a Lord Carnarvon. 
  
Ma perché aspettare tre anni e far arrivare addirittura Lord Carnarvon a decidere di ritirarsi dall’impresa, perché i soldi stavano finendo?
Perché voleva protrarre questa gioia finché durava. Sapeva che nel momento in cui avesse finito con la tomba di Tutankhamon sarebbe finito tutto. La valle era la sua casa, la sua vita e lui voleva andare avanti finché un giorno non avrebbe tirato fuori il coniglio dal cilindro. Tuttavia, durante l’incontro con Carnarvon lui ha recitato, ma a fin di bene. Gli voleva bene a Carnarvon e sono convinto che il Conte non ne sapesse nulla. Perché Carter era una persona che non parlava con nessuno; era il tipo di persona che se decide di non dire qualcosa, non la dice a nessuno. Per cui, lui non l’ha detto a Carnarvon, perché non si fidava di nessuno, nemmeno del Conte. In effetti, a me la vita ha insegnato che, se non vuoi far sapere una cosa, non la devi dire; evidentemente l’ha insegnato anche a Carter. Quindi l’archeologo, dopo la vera scoperta, ha richiuso tutto e rimesso i sigilli. Io me lo immagino nei tre anni successivi lì nella valle a pregustarsi tutto, a farsi il castello di tutto quello che doveva fare per restaurare gli oggetti! E infatti, quando poi la scopre è tutto pronto, lui sa già cosa fare. Anche perché, la cosa meravigliosa è che il muro di contenimento di quel vecchio scavo del 1919 è esattamente il muro di contenimento della tomba di Tutankhamon.
 

Abbiamo iniziato questa chiacchierata con l’origine del tuo libro. E dopo “Segreto”?
Dopo “Segreto” c’è la ripubblicazione imminente de “Il sorriso di Giulia”; poi l’8 marzo a Vasanello interverrò alla presentazione del libro di Bonaventura Caprio, uno dei più grandi storici farnesiani, che ha dedicato addirittura due capitoli del suo libro a “Il sorriso di Giulia”; ad introdurre ci sarà anche l’Assessore al Turismo e Spettacolo di Civita Castellana Angela Consoli. Infine, è già pronta ed uscirà a breve una raccolta di racconti.
 
Elena Cappannella 

 

Howard Carter e quella febbre da scavo

Probabilmente tutti o quasi, avranno sentito parlare di Howard Carter. Archeologo per scelta o per destino, fatto sta, che tutto il mondo e l’archeologia ufficiale gli è grata per aver scoperto la tomba del faraone bambino Tutankhamon, riportata alla luce il 4 novembre 1922, fra le dune sabbiose della valle dei Re, o, almeno, così facevano riferimento le cronache e i documenti ufficiali. Tutto questo fervore nasce da un telegramma -che è la chiave di tutto- che Howard Carter invia al suo “datore di lavoro”, Lord Carnarvor finanziatore degli scavi. Lui, un semplice acquarellista di umili origini, ma con una irrefrenabile passione per la ricerca storica, condotto all’immortalità della memoria, per la più grande scoperta archeologica dell’umanità! 
“Yes, it is wonderful”, “Sì’, è meraviglioso”. 

Parole che si riferiscono al contenuto del telegramma - che confermano al finanziatore degli scavi- il ritrovamento della sepoltura del faraone bambino, che Carter protegge come un “segreto” da difendere e custodire fra le pieghe del suo carattere intimista, e a volte anche scostante. Ma come faceva a sapere che il contenuto della tomba fosse meraviglioso? La frase fece il giro del mondo, diffusa il 30 novembre del ’22, dal giornalista Arthur Merton sulle pagine del Times, per poi, successivamente, vendere l’esclusiva il 9 gennaio del 1923 per cinquemila sterline, oltre al 75% di tutti i proventi ricavati con gli articoli di stampa estera. Nonostante, all’epoca, non ci fossero ancora i social network, la scoperta del rinvenimento della sepoltura del faraone della XVIII dinastia fu una notizia di portata planetaria.

Anche lo stesso scrittore e drammaturgo britannico Arthur Conen Doyle- padre dell’investigatore Sharlock Holmes - si occupò della vicenda, tanto da far nascere - attorno ai vari infausti accadimenti successivi alla scoperta della tomba - la leggenda della maledizione del Faraone. Mentre, sugli interventi e metodologia di scavo dello stesso Carter, anche il settimanale tedesco Der Spiegel nel 2010 gli dedica uno speciale, che lo colpevolizza dell’ingresso anticipato nella stanza del faraone, senza avvisare o attendere l’Ispettore Generale delle Antichità Egizie. Tutto questo fa di Howard Carter il soggetto prediletto per “Segreto” dell’autore e documentarista Ardelio Loppi, il quale, con dovizia e studio meticoloso di tutta la letteratura storica, proscioglie la figura di Carter, al di là di ogni ragionevole dubbio. 
 
Caterina Berardi